Nessuna menzione oggi sui giornali. Nemmeno quelli che santificano tutti i giorni che il buon Dio manda sulla terra con una coltellata (metaforica ovviamente) a Renzi hanno ricordato l’anniversario del referendum che congedò, esattamente un anno fa la leadership del segretario-premier.
Eppure quella scadenza è un vero spartiacque: sia a destra che a sinistra.
Grasso e i suoi nuovi compagni di cordata se avessero davvero voluto essere coerenti dovevano intitolare il loro nuovo partito proprio 4 Dicembre. Quel voto gli ha aperto porte che sembravano irrimediabilmente chiuse.
Berlusconi e salvini proprio dal referendum hanno preso l’abbrivio per scrollarsi di dosso la polvere degli outsiders. Mentre Grillo ha potuto leccarsi le ferite dei mille incidenti dei 5s senza l’ansia di avere il fiato sul collo dal competitore.
Ma il vero dato che quel voto ha reso evidente riguarda proprio la natura del renzismo e la tipologia del suo leader: più che l’incapacità il disinteresse a decifrare la pancia del paese. Renzi per il modo spensierato con cui decise di giocarsi l’aura di vincente dimostrò proprio la sua estraneità al duro mestiere della politica. Spiegava uno straordinario animale politico del 900, come fu il mitico leader socialista Pietro Nenni, nome che ai contemporanei suonerà piu o meno come Nino Bixio per la sua attualità, che “ fare politica sarebbe la cosa più facile e divertente del mondo se non si dovesse ,ogni volta, ogni giorno, capire prima cosa accadrà dopo”.
Renzi questa fatica tende ad evitarla. E non ha neanche la ventura di avere attorno qualcuno che supplisce a questo suo vezzo. I movimenti sociali, la dinamica degli interessi, la mappa dei poteri sono valori che npon lo appassionano . Lui si misura solo con quella che Paul Viriliò definiva la democrazia automatica, ossia una tendenza che fa coincidere il consenso con il senso comune così come viene registrato, automaticamente dal sistema mediatico: i voti sono audience.
Sappiamo bene che non è così.
Lo stesso Berlusconi, l’uomo più automatico d’Europa, i suoi voti li ha dovuti raccattare, a volte nel senso più letterale del termine, negli andfratti meno ospitali e trasparenti. Las Tv , e siamo a venti anni fa, anche allora fu solo un catalizzatore, una bandiera di un processo sociale che vedeva prendere forma quello strano soggetto sociale, che non è più ceto medio, e non è mai stato popolo che oggi sta sconquassando gli scenari politici planetari.
Come si poteva pensare che il famoso 40 % raccolto, sulla scia di una suggestione apparentemente anti elitaria, quale fu la prima rottamazione renziana , potesse coagularsi attorno ad un governo intermittente e amministrativo?
Il destino dei famosi tagli alla spesa pubblica, con la sostituzione di tutti i vari commissari succedutisi è emblematico di quella primavera che divenne subito inverno.
Renzi perde perché non è Macron. Rimane a metà strada fra il vecchio e il nuovo. Perde la memoria ma non conquista l’immaginario. E soprattutto con genera pensiero: Europa, lavoro, sviluppo, città. Sono i temi in cui il concetto di innovazione che lui ripete come un mantra deve diventare carne e sangue: nuovi interessi, nuovi ceti, nuovi valori, nuovi linguaggi. Invece cosa accade? La Rai da campo Dell’orto torna ai dorotei, la cassa depositi e Prestiti invece che disegnare un ruolo da impresario della tecnostruttura dello stato diventa occasionale tappabuchi. Finmeccanica da volano di un’Italia protagonista diventa subalterna ai francesi con Telecom e la stessa Mediaset sotto tiro. Non si parla con la Maker faire di Roma e nemmeno con il salone del design di Milano, ma a malapena di risolve la questione della Federcalcio con Lotti.
Il tutto mentre, come spiega il Censis senza nessun commento da parte della politica, monta l’onda del rancore, ossia di un senso comune che da indignazione, che comunque è un motore, diventa rivoluzione passsima ed eversiva, come avrebbe detto Gramsci, sulla spinta di un pulviscolo di individualismo e di rabbia di borgatari ceti periferici che patiscono il fatto di non poter più pensare da ricchi .
In questo brodo di cultura trumpiano sta crescendo la destra più grossolana che raccoglierà un’investitura protestataria e rivendicativa, esattamente come il presidente americano un anno fa. I 5S in questo scenario sono un frigorifero da salvaguardare perché trattengono, ancora, voti reazionari e vandeiani, che andrebbero ad aggiungersi al frontismo di destra. Il nuovo partito di Grasso nella sua prima uscita ha mostrato di non avere un vocabolario per interferire con questi processi. Porterà al voto i sopravvissuti delle feste dell’Unità con D’Alema più qualche nucleo di insoddisfazione intellettuale. Ma non aprirà un varco libertario sul versante dei nuovi produttori del sapere: dittatura di pochi algoritmi, subalternità al capitalismo delle piattaforme, rottura della net neutrality sono vaghezze che non conquistano la loro attenzione., Una testimonianza che si auto compiacerà del fallimento di Renzi per coltivare persino l’ambizione di rientrare da vincitori al nazzareno. Tutto questo era dentro il 4 dicembre di un anno fa. Ma a chi dirlo?