Quel che segue è una sorta di invito alla lettura del libro Caccia al virus di Andrea Crisanti e Michele Mezza. Il lettore troverà le ragioni per decidere di comprare il libro per approfondire il lavoro degli autori. Si è deciso di riportare tre punti essenziali del lavoro per dar quel che basta a farsi un'idea. C'è un riassunto dei punti con una lista che conduce direttamente agli argomenti


Appello al paese

«Cari concittadini, le riflessioni esposte in questo piccolo libro sono dedicate a tutti coloro che hanno sofferto a causa della pandemia. Il virus ha distrutto famiglie, lacerato affetti e messo in pericolo la sicurezza economica di molti. Solo uno sforzo corale che superi egoismi e divisioni politiche può rimarginare questa ferita del nostro tessuto sociale».

Prende le mosse da questo appello alla responsabilità collettiva il denso dialogo sulla pandemia italiana tra Andrea Crisanti e Michele Mezza.

A partire dalle loro diverse esperienze, il prestigioso ricercatore, che nella prima fase salvò il comune veneto di Vo, e l'attento giornalista e sociologo dei dati che studia le dinamiche tecnologiche del contagio,hanno realizzato in poche settimane un condensato di quanto è stato fatto e soprattutto quanto dobbiamo ancora fare per liberarci dal mostro che continua ad assedici.



In sintesi

Non c'è prosperità economica e sviluppo sociale se non viene prioritariamente assicurata la salute collettiva. Non dobbiamo dimenticarci la storia della nostra Italia, che può insegnarci ancora qualcosa.

A partire dall'anno dell'Unità fino al primo decennio dopo la seconda guerra mondiale, la priorità di

tutti i governi che si sono susseguiti, indipendentemente dal colore politico, è stata il controllo e l'eliminazione di malattie epidemiche come il tifo, il colera e la malaria.

Le regioni e i luoghi affetti da queste malattie erano i più poveri e desolati d'Italia e ancora oggi viaggiando negli stessi luoghi si possono trovare, incorporate nelle case e nei paesi, le cicatrici delle epidemie passate.

L'Italia ha sconfitto queste malattie senza avere a disposizione vaccini e terapie efficaci, con uno sforzo collettivo basato sulla prevenzione e sulla sanità pubblica.

Oggi abbiamo i vaccini. Questi sono un presidio determinante, che riduce drasticamente il pericolo, restringendo di molte volte la base del contagio, ma non sono la bacchetta magica. La durata della protezione indotta dal vaccino e il possibile sviluppo di varianti resistenti al vaccino potrebbero minare l'efficacia di questo strumento.

Tutti noi speriamo che queste condizioni non si realizzino, ma da qualche parte nella nostra mente lo dobbiamo tenere presente.

Ed è poi comunque difficile ipotizzare di vaccinare intere popolazioni, ogni anno, con modalità così

generalizzate.

Viviamo ora una transizione che ci sta portando da una situazione epidemica a uno stato endemico del rischio di infezione. Una situazione ancora insidiosa, che richiede misure molto dettagliate e granulari,soprattutto sostenibili a lungo termine.

La sostenibilità sociale ed economica delle misure di prevenzione e controllo sarà il fattore che determinerà la possibilità di ritornare a una vita normale nel prossimo futuro. Vaccini più sorveglianza: è questa la proposta che vogliamo condividere con voi.

Perché sarà proprio la vostra persuasione informata che potrà fare la differenza.

Le modalità e le proporzioni degli effetti tremendi della pandemia che ci ha colpito dal febbraio del 2020 non sono il frutto di un inesorabile destino, ma devono essere riconosciute come l'effetto di valutazioni e di informazioni non appropriate, giustificate parzialmente dalla comprensibile inesperienza di fronte a un evento inatteso, ma in parte indotte dall'incapacità di interpretare dati e processi scientifici.

Ora, dopo più di un anno e mezzo di sacrifici e sofferenze, dobbiamo ancora riconoscere che, senza una partecipazione piena e consapevole da parte degli italiani alle scelte politiche, non potremo mai uscire da questo labirinto.

La risposta alla pandemia ha sospeso prerogative e diritti di cittadinanza, esasperando il potere di chi si trova al vertice della catena di garanzie e di interventi a cui, giocoforza, dobbiamo affidare la nostra sicurezza. Forse tutto questo era inevitabile, ma non dovrà più accadere che in futuro si paghi il prezzo che abbiamo pagato.

Per chi, come medico e scienziato o cronista, si è trovato coinvolto in questa storia, diventa ancora più insopportabile assistere a un uso della conoscenza o delle abilità scientifiche per sostenere o proteggere interessi politici o opportunistiche speculazioni, o, ancora peggio, per preparare future campagne elettorali.

La scienza non è mai stata delega a pochi sapienti di alchemiche soluzioni, ma sempre un progressivo processo di condivisione, di coinvolgimento e di compartecipazione, in una trasparente ricerca della verità con tutti gli interessati.

La scienza medica è – sempre più – un sistema relazionale, in cui la dialettica fra competenti e opinione pubblica è parte essenziale del progresso, ma non deve essere alibi del potere.

In questi mesi si è parlato tanto, forse troppo, ma si è comunicato poco, si è esibito il privilegio della conoscenza, ma senza fornire gli strumenti per comprendere i fattori che influenzano la dinamica di una lettura comune dell'epidemia. Molte decisioni sono state prese o non sono state prese senza condividerne pubblicamente le ragioni, senza spiegarle agli italiani.

Non dimentichiamo, ad esempio, che c'è stato bisogno di una sentenza del Consiglio di Stato per rendere pubblici i verbali «secretati» del Comitato tecnico scientifico (Cts). Evidentemente la trasparenza non è nel dna dei nostri politici e dei nostri amministratori.

Noi dobbiamo pretenderla sistematicamente e ossessivamente, perché la trasparenza è la misura del rispetto delle istituzioni e dei politici nei confronti dei cittadini: bisogna conoscere, bisogna essere correttamente informati, per poter decidere, tanto più in un'epidemia che coinvolge grandi masse di persone.

Fin dalla fase nascente del contagio si deve promuovere consapevolezza, rendendo trasparente il meccanismo che sostiene la diffusione del virus e la strategia che si vuole adottare per combatterlo. Entrambe le cose – la diffusione della malattia e la politica per combatterla – passano necessariamente da tutti noi; in ultima istanza, coincidono con i nostri comportamenti.

Non è difficile capirlo, è complicato organizzarlo.

La malattia ci permette, nelle pieghe delle infinite conseguenze drammatiche che comporta, di trovare spunti per meglio conoscere gli uomini, anche i più lontani. «Dimmi il tuo rapporto con il dolore e ti dirò chi sei», era il motto di Ernst Jünger, il preveggente filosofo tedesco del Novecento, che lavorò proprio sul concetto di catastrofe come complicità umana.

La sofferenza diffusa procurata a tutti noi dalla pandemia ci offre una lente di ingrandimento per meglio valutare la nostra comunità, i nostri amici e colleghi, i nostri governanti, la classe dirigente politica ed economica del paese.

Questo non implica mettere in discussione il ruolo e il rispetto per le istituzioni.

Al contrario, pensiamo che da questo tunnel si esca proprio con uno Stato più capace, una politica più prestigiosa, istituzioni più salde. Ma per questo non dobbiamo tacere dinanzi visioni e politiche che non hanno tenuto conto, e continuano a non tener conto, delle evidenze scientifiche e delle esigenze delle persone.

La lente di ingrandimento del dolore ci aiuta a inquadrare queste responsabilità. Il virus è innanzitutto dolore, e come tale vorremmo che fosse interpretato dalla comunità nazionale, dal governo, dalle autorità sanitarie, dagli esperti, dai medici o dai giornalisti, che devono tutti sforzarsi di trovare le misure più adatte non solo per ridurne i numeri, ma soprattutto per mitigarne la pena che ricade sulle persone.

Il medico, lo scienziato, l'operatore sanitario devono condividere conoscenze, esperienze e strumenti investigativi, per quanto sono riusciti e tuttora continuano a fare per limitare le conseguenze della pandemia. Un cronista può e deve aggiungere la sua sensibilità nel cogliere l'impatto dei fatti nella realtà che osserva, facilitando la trasmissione dell'informazione.

Un politico deve integrare gli interessi generali alle condizioni concrete della caccia al virus. E deve farlo selezionando, scegliendo, partecipando alle conoscenze che sostengono questa lotta sanitaria. Assumendo la responsabilità per i risultati che produce.

Proprio mentre scriviamo ci giungono, nell'immancabile vociare delle parti contrapposte, i primi dati della curva del contagio seguiti alla decisione politica di rimuovere la maggior parte dei vincoli e condizionamenti alle attività sociali. Non possiamo non rilevare i rischi connessi a questa spensierata liberalizzazione delle attività che potrebbe indurre una collettiva diminuzione d'attenzione per un pericolo che non è ancora del tutto neutralizzato.

Il rischio per la salute anche di una singola persona, dopo più di centoventimila morti, specialmente ora alle soglie di una soluzione vicina, non fa parte del nostro orizzonte. Abbiamo già rischiato troppo.

Ogni vita conta.

Siamo consapevoli comunque che abbiamo scelto di intervenire in un momento di delicatissima imprevedibilità, ma anche decisivo per la lotta contro la pandemia. La dinamica del virus, la sua interattività con le diversità del nostro organismo, e la spiccata attitudine a un'accentuata mobilità, che inevitabilmente conserviamo nelle nostre abitudini radicate, con quel nostro incessante spostarci da un punto all'altro del pianeta, ci impongono di suggerire misure ispirate a cautela e controllo, basate su una progressiva liberalizzazione che proceda parallelamente al rafforzamento di misure di sorveglianza e tracciamento, specialmente ora che la vaccinazione e la diminuzione del numero dei contagi le rendono finalmente attuabili.

Le misure che di volta in volta vengono applicate determinano un equilibrio instabile, come fossimo su una bilancia che oscilla in continuazione.

Su un piatto abbiamo il virus che cerca implacabilmente di riprodursi, sfruttando ogni opzione e possibilità che la nostra vita gli offre, la scuola, le vacanze, gli ambienti affollati, i contatti sociali. Sull'altro piatto stanno il distanziamento, i dispositivi di protezione, le vaccinazioni e tutte le accortezze e le soluzioni farmacologiche, tecnologiche e sociali che attiviamo per stroncare questa sua aggressione.

Esattamente come su una bilancia in equilibrio: se tu togli un elemento da un piatto, per ricostituire il bilanciamento devi pareggiare dall'altra parte. Se tu apri le scuole, o autorizzi attività commerciali o sociali, dovrai inevitabilmente compensare con soluzioni di monitoraggio, controllo e tracciamento che permettano di soffocare ogni possibile ripresa dell'infezione.

Questo sarà il criterio anche per i prossimi anni. Dovremo aggiornare costantemente questo equilibrio, rivedendo le proporzioni e l'efficacia di ogni soluzione alla luce del nuovo quadro epidemiologico.

Non si tratta, come in altre occasioni durante questi quattordici mesi, di essere alle prese con il dilemma: economia o sicurezza?

Abbiamo sotto gli occhi il disagio, la sofferenza, la fatica di una vita paralizzata nelle attività, del vedere il risultato della propria azienda o professione svilirsi e afflosciarsi dinanzi alla nostra impotenza. Ma crediamo che mai come oggi sia il tempo di parlare chiaramente ai cittadini, mai come oggi è il tempo della sincerità.




Stralcio capitolo finale

Stralcio dal capitolo finale : Lo Spillover di un'app: la proposta per rimettere in piedi Immuni

La quasi totalità delle app di contact tracing è progettata per permettere a un soggetto che si scopre positivo di segnalare (anonimamente) il proprio status a un Centro di controllo sanitario, il quale potrebbe così comunicarlo a tutti quei soggetti con cui il positivo è entrato in relazione, anche fuggevole (tipicamente per almeno 10 minuti ed entro 2 metri circa, ove si utilizzi la tecnologia bluetooth degli smartphone), nei 14 giorni precedenti alla scoperta dell'infezione.

Entrambe le tecnologie Gps e bluetooth presenti nei nostri smartphone potrebbero essere utilizzate per tracciare i contatti a rischio e avvisare i potenziali contagiati. Il Gps identifica i percorsi degli individui che si sono incrociati, mentre il bluetooth rileva connessioni tra device a distanza ravvicinata (fino a pochi metri), senza sapere dove.

Per tali motivi, la tecnologia bluetooth, su richiesta sempre di Google e Apple che pure la usano massicciamente per i loro scopi commerciali, è stata considerata la meno invasiva per la privacy, a fronte però di una riduzione di funzionalità ed efficienza operativa.

D'altro canto, le mutate necessità di tracciamento «mirato» a seguito della disponibilità del vaccino anti-Covid, oltre che le minacce di nuove fiammate localizzate di trasmissione della malattia, suggerirebbero di provare a riesaminare l'intera vicenda, approfondendo i pro e contro dell'utilizzo della geolocalizzazione dei contagi.

Molte esperienze in campi anche diversi dalla sanità ci dimostrano che utilizzando un tracking Gps, opportunamente anonimizzato, a integrazione del bluetooth – per esempio tramite un protocollo Ppsi (Privacy Preserving Set Intersection) –, i problemi di tutela della privacy sarebbero analoghi. Si riuscirebbe cioè a tracciare geograficamente contagi e focolai, e basterebbe il 20% di utilizzo dell'app da parte della popolazione rispetto a oltre il 60% con il solo bluetooth (bluetooth Low Energy, ble) per un'ipotizzata efficacia dei risultati.

Il rischio – che a questo punto riteniamo assolutamente enfatizzato, soprattutto se lo dobbiamo comparare al terribile bilancio delle vittime delle diverse ondate – di incorrere in possibili violazioni della privacy individuale ha sinora inibito qualsiasi iniziativa in tale direzione.

Torna ora, con uno scenario reso più sostenibile e gestibile, l'opportunità di avere a disposizione, qualora se ne presentasse la necessità, una soluzione efficace e persuasiva, che spinga realmente i cittadini ad ancorarsi a un sistema visibilmente utile quale una vera app che permetta una qualche geolocalizzazione dei dati anonimi e aggregati – al momento non presente nelle app di contact tracing della maggioranza dei paesi nel mondo –, in modo da poter verificare i pericoli di contagio nelle varie situazioni operative: trasporti (rilevazioni di virus pandemico sui bus o le metropolitane delle città), scuole, ristoranti, impianti sportivi ecc.

Non dobbiamo dimenticarci che un buono scienziato con tanti dati farà sempre meglio di un genio con pochi dati. La differenza fra i due casi, in una pandemia, non è piccola: si calcola in migliaia di vite umane.