Chi è il convitato di pietra che sta decidendo il voto in Italia?

di Michele Mezza

I database dei socialnetwork possono rimanere privati e commerciabili?

Ma le nostre elezioni sono davvero regolari? C’è un convitato di pietra che clandestinamente sta logorando la credibilità del voto? A leggere gli atti delle inchieste sulle interferenze russe nelle presidenziali americane sembra che anche le elezioni italiani siano ormai sotto tiro.

Ben 37 pagine della requisitoria del super magistrato americano Robert Mueller, scrive la Stampa di domenica 18 febbraio, sono dedicate a descrivere l’ecosistema italiano, dove Twitter e Facebook stanno veicolando una poderosa massa di messaggi mirati ad alterare senso comune e trasparenza informativa.

In particolare sembra documentata la relazione fra una centrale operativa di San Pietroburgo con grappoli di account che agiscono in Italia irradiando fake news ma soprattutto sparando pacchetti di dark ads, pubblicità riservata e nominativa, diretta proprio su nuclei specifici di elettori nei collegi contendibili.

Nelle settimane scorse si sono registrati numerosi episodi di interferenza organizzata, come ad esempio la campagna sui sacchetti biodegradabili, decisi dal governo in ottemperanza di una norma europea, che in poche ore dal 1 al 2 gennaio, ha scaricato in rete più di 180 mila messaggi per innestare campagne di denuncia su inesistenti interessi del vertice del PD o degli stessi ministri nelle aziende che producevano i sacchetti, oppure la bufala dell’immigrato che viaggiava a sbafo sul Frecciarossa. Ma queste sono solo pacchiane fake news, riconoscibili ad occhio nudo. Il vero problema è invece proprio la dark ads, che seleziona i suoi destinatari in base a tipologie sociali o territoriali. Come spiega Anna Applebaum, una delle massime esperte di analisi dei grafi di rete, Facebook e Twitter, nonostante le contrite autocritiche dei propri managers, a cominciare proprio dal prode Mark Zuckerberg continuano a pompare pacchetti di messaggi di dark ads, venduta a inserzionisti esteri . Un’azione che , come abbiamo visto negli USA, inevitabilmente incide sulle forme del consenso che si determinano ormai sempre più sulla base di stati emotivi individuali.

Orami siamo agli sgoccioli di questa campagna elettorale, e non ci resta che assistere passivamanete a queste ultime scorrerie che determineranno i risultati finali. Ma quest’esperienza deve valera a futura memoria. Il nodo è capire come contrastare l’effetto, e non solo punire, a consuntivo, le responsabilità, di questi attentati alla trasparenza della comunicazione elettorale.

Affiora qui un tema che riguarda proprio la natura e lo statuto proprietario di una materia sensibile per la democrazia che è la tracciabilità individuale di ogni elettore. Un data base in grado di rispecchiare esattamente il processo di formazione della coscienza elettorale, o commerciale, o culturale, di un individuo, di milioni di individui, di un intero paese o continente, può rimanere esclusivo e privato?

La potestà di uno stato, l’autonomia di una democrazia, la vitalità di una società non sono basate atavicamente sul libero arbitrio di ognuno di noi che interagisce con gli altri sulla base di una comunanza di informazioni e di contesti culturali?

Non è giunto il tempo di sostituire alla ormai del tutto inadeguata e folcloristica par condicio televisiva con una trasparenza e condivisibilità delle informazioni comportamentali? Il big data deve essere, almeno in circostanze come le elezioni, spazio pubblico ? le autority del settore devono ricostruire categorie, istituti giuridici, linguaggi e procedure per assicurare agli individui la reale simmetria delle opportunità che la potenza di calcolo sta deformando? Insomma una vera democrazia deve poter governare gli algoritmi e i data base o deve esserne governata?