Dall’algoritmo nella nazione all’algoritmo della nazione:
poteri e potenti nella geopolitica del calcolo

di Michele Mezza

In un sistema automatizzato il potere si concentra nelle mani di chi controlla la programmazione degli automatismi
Nicolas Carr

Per la prima volta una sola parola sollecita l’immaginario di tutta la terra : Google.

Un solo luogo è punto di ritrovo quasi quotidiano di un terzo dell’umanità: Facebook.

Le memorie di individui, comunità e istituzioni del pianeta , in un modo o nell’altro si riconnettono ad un unico circuito: Amazon.

Si stanno tutte giocando attorno al controllo dell’algoritmo le partite fondamentali sulle leadership del pianeta?

Solo un paio di anni fa la domanda non avrebbe avuto cittadinanza.

Oggi sembra l’unica che possa aiutare a dare ragione di scacchieri che non rispondono più alle categorie tradizionali delle relazioni di potere.

Se non fosse così il termine “algoritmo” non avrebbe avuto lo spazio che gli è stato riservato negli ultimi due vertici di Davos, dove le uniche sessioni riservate sono state quelle dedicate appunto alla cartografia dei possibili conflitti digitali. E nel corso del G-20 tenutosi il settembre scorso Hangzou, l’ultimo con Obama presidente, non sarebbe stato il tema strategico attorno a cui si sono guardati in cagnesco i leader di USA, Cina e Russia. E,soprattutto, non sarebbe proprio il controllo dell’algoritmo il perno del prossimo G7 di Taormina di fine maggio, dove per la prima volta potrebbero entrare in scena, come interlocutori alla pari con gli stati, i più grandi gruppo tecnologici del pianeta.

Questa è la carota che Trump sta facendo intravvedere alla Silicon Valley: diventare partner ufficiale della reindustrializzazione del pianeta.

Ma lo scenario è ancora molto agitato.

E’ la pervasività dell’algoritmo, e la conseguente guerra scatenatasi per il suo controllo, che, dopo aver scomposto ogni vecchia categoria socio economica del capitalismo di massa (partiti, sindacati, media, consumi,lavoro), e aver generato nuove figure sociali , inedite forme di interferenza con le istituzioni, e poderosi centri di comando tecnologico-finanziario, è oggi al centro della contrapposizione fra le cancellerie di tutto il mondo e le grandi agenzie dei saperi informatici.

A voler ridisegnare la mappa dei poteri sono , in prima persona,le leadership delle maggiori super potenze , che non vogliono avallare la profezia di Charles Kruchan, uno dei massimi esperti di relazioni internazionali ,che nel 2012 nel suo saggio No One’s World ( New York, Oxford University Press) prevedeva che “il XXI secolo non apparterrà all’America, alla Cina ,all’Asia o a qualcun altro: Sarà un mondo di nessuno .Per la prima volta nella storia, il mondo sarà interdipendente, ma privo di un centro di gravità, o di un custode globale”.

Un custode si è invece affermato: il calcolo.

Ora si tratterà di capire chi sarà il custode del custode, perché, come dice Nicolas Carr “in un sistema automatizzato il potere si concentra nelle mani di chi controlla la programmazione degli automatismi”.

Ed è attorno a questo tema che le diverse versioni del vertice mondiale ( G7; G8; G20, o G2)si stanno ricalibrando fra di loro.
It For Bit

Ma qual è l’oggetto conteso e quali le armi del nuovo conflitto?

In sostanza: davvero il mondo è oggi governato a colpi di algoritmi?

La più sintetica e icastica risposta a queste ponderose domande ci viene da John Archibald Wheeler, il più longevo fra i collaboratori di Albert Einstein, che prima di lasciarci, nel 2008 sintetizzò mirabilmente in pochi monosillabi oracolari quale sia la posta in gioco: ”it from bit”, tutto è informazione. E oggi l’informazione è tutta digitale a rete. Dove tutto significa proprio tutto, molto al di là di quello che tradizionalmente chiamiamo informazione.

La rete, ci dice Craig Vender, il biotecnologo che ha brevettato il primo principio vitale, non serve a giocare con i social, ma a riprogrammare la vita umana. Una battuta che da una luce diversa ai conflitti che si stanno innestando attorno alla potenza di calcolo e che rende l’eventuale inedito vertice di Taormina fra stati e Over The Top un consulta sulla riprogrammazione della vita tout court.

Per questo è essenziale, più che inseguire i fantasmi dei produttori di fake news individuare i registi dei nuovi fake user, ossia di quella miriade di avatar che riproducono le dinamiche umane in rete ,alterando ogni equilibrio e regola di relazione.

Il punto è cercare di capire quali siano realmente le potenze, gli strumenti, le culture e linguaggi che originano, orientano e governano questo nuovo mondo in cui si svolge tutta la nostra vita.

Il principio primo che oggi presiede alla digitalizzazione della nostra vita ,che incarna e identifica il principio di Wheeler- it from bit- è oggi l'automatizzazione di soluzione di problemi e di circostanze psico cognitive.

La nostra mente e il nostro cervello sono oggi il ring su cui si combatte per governare, attraverso il processo di digitalizzazione delle informazioni, i comportamenti umani. Lo strumento e il contenuto di questo processo è l'algoritmo.

Un oggetto che risale alla notte dei tempi, che appare come forza motrice dell'uomo già nel Proteo di Eschilo e che Pitagora razionalizza come il modo di calcolare il futuro.

E’ questo il problema che il potere ha posto ai matematici. Come prevedere e indirizzare il corso delle cose attraverso i numeri.

Siamo qualche decennio dopo Galileo, che già ci spiegava che il libro della vita era scritto con il linguaggio della matematica, quando prima con Isacco Newton e poi con Joseph Raphson, l'algoritmo da effettivo diventa efficiente, diviene cioè un processo organizzativo e produttivo dell'attività umana, in cui la sua elaborazione e la fonte di governo e di potere sulle soluzioni dei problemi.

L’espressione (A+H) al quadrato ,in sostanza l’incremento o la diminuzione del lato indica l’incremento o la diminuzione del quadrato, rivela il primo automatismo di calcolo che permette di stabilire delle sequenze certe, degli effetti matematici sicuri nei processi decisionali. Entriamo così nel campo dell'informatica di precisione

Da questo punto arriviamo fino agli anni 30 nel XX° secolo, quando, sulla scorta di quello straordinario periodo della seconda metà del ‘800 in cui i matematici si affiancarono agli ingegneri nel programmare la potenza nella società industriale, nacque la società del calcolo.

Negli anni tra le due guerre mondiali, sulla spinta di un taylorismo ormai esasperato ,che pretendeva di calcolare ogni minimo gesto individuale ed ogni comportamento di massa finalizzato alla produzione, le società del calcolo dei vari paesi occidentali cominciano a tessere una tela a maglie sempre più strette, in cui l'obiettivo è definire e calcolare dunque la prevedibilità di fenomeni e di valori sociali.

Come descrive Paolo Zellini nel suo denso e documentatissimo saggio La matematica degli dei e gli algoritmi degli uomini(Adelphi),negli anni 30, in seguito alla progettazione dei primi calcolatori digitali, prende forma l'indirizzo della scienza matematica orientato esclusivamente a risolvere i problemi dei comportamenti sociali, mediante la fisica e l'economia.

La guerra non interrompe questa evoluzione, Anzi l’accelera ,trasformando il conflitto bellico in competizione computazionale, anche grazie al progetto Enigma di Alan Turing e Claude Shannon.

Esattamente in quel passaggio computazionale i tedeschi, prima che sui campi di combattimento, vengono battuti: nella capacità di elaborare una strategia più generale e complessiva della potenza di calcolo ,in cui la fissione nucleare da una parte e la decifrazione dei linguaggi criptati dall'altra, sono vettori e obiettivi intermedi di una più ampia politica di riorganizzazione sociale

Vannevar Bush con il suo saggio As We May Think, pubblicato sulla Atlantic Review nel luglio del 1945, qualche giorno prima di Hiroshima,,annuncia la nuova stagione del decentramento della potenza di calcolo all'individuo, spiegando al Dipartimento di Stato americano americano ,che lo aveva interpellato a proposito, che l'Unione Sovietica che già si annunciava come l'avversario del dopoguerra, poteva essere fronteggiata solo trasformando la base sociale, il motore, dell'economia, da manifatturiera a cognitiva. L’URSS sarebbe stata battuta se fosse stata disperso il suo esercito globale: il protagonismo sociale dei lavoratori industriali: il becchino chiamato al suo capezzale direttamente dal capitale fordista, come aveva preconizzato Marx.

Gli algoritmi cominciavano a lavorare in maniera efficiente per risolvere il primo grande problema: come neutralizzare la funzione negoziale e antagonistica del lavoro nella produzione industriale.

Gli stati sono ancora motori dei processi innovativi: dalla stessa Silicon Valley, dove, dopo il famoso discorso di J. F.Kennedy il 25 maggio del 1961, in cui lanciava la sfida ai sovietici per la conquista della luna, si è concentrata una straordinaria massa di investimenti statali finalizzati alla supremazia tecnologica. Nel 1969 la rete prende vita con solo 4 nodi. In poco tempo l’espansione avvolge l’intero pianeta.

Un fenomeno assolutamente originale ed esclusivo, che vede raccogliersi tutto il pianeta attorno ad un server.

E’ In questo passaggio che si scinde il sodalizio fra stato e calcolo, la potenza computazionale che era di esclusiva competenza degli Stati ,così come il monopolio della violenza, secondo la citatissima definizione di Max Weber, diventa una pratica sociale di utilizzo diretto da parte delle imprese e degli imprenditori.

Lungo questa strada l'algoritmo diventa quello che Dominique Cardon definisce” indicatori per guidare i comportamenti ”.E’ la grande stagione del rinascimento digitale, delle start up, dei garages della California, dove ragazzotti ambiziosi con molto sudore e qualche dose di genio, riprogrammano la vita.

In questi ultimi due anni, i grandi tycoon digitali hanno superato ogni indicatore di potenza compatibile con la dimensione privata, attaccando direttamente l’autonomia e la sovranità dei poteri verticali. Non solo politici e istituzionali, ma anche di quella filiera di intrecci di interessi economico finanziari e solidarietà di gestori e organizzatori locali, che nel sodalizio fra stato e capitale ha cementato una classe dirigente del mondo.

Forse il segnale che si stava raggiungendo il punto di non ritorno è stato il simultaneo cambio di rotta di tutti i principali gruppi tecnologici del mondo che in pochi mesi hanno sostituito al proprio vertice i manager di matrice economica, con nuovi CEO tutti di provenienza dalle discipline di intelligenza artificiale e neurologia.

Riecheggiando un truce slogan della metà degli anni 70, per chi ancora è in condizione di ricordare, siamo all’attacco al cuore dello stato. Cominciando dalla sua borsa.

Da più di 10 anni ormai abbiamo consegnato ogni pulsione del sistema finanziario mondiale ai bots che trattano, alla velocità di 3 decimillesimi di secondo, il 75 % del traffico di titoli su tutte le piazze del pianeta. Hight Frequency Trading è il baluardo dell’automatizzazione, inconsapevole, della nostra vita, ad opera di un algoritmo .Ed è il motivo per cui anche il più potente dei CEO di banca o di Equity Found oggi prima di incontrare il suo consiglio di amministrazione, consulta il suo consulente di calcolo .

Ma l’esempio forse più emblematico della potenza indiscriminata dell’algoritmo che si sostituisce alla nazione,superandone ogni memoria, ci viene dal mondo musicale, da quel pervasivo ed ecumenico linguaggio che è appunto la musica, che già Leibniz ci diceva essere una pratica occulta dell’aritmetica in cui l’anima non sa di calcolare.

Spotify, un app svedese che ormai organizza la dieta musicale di decine e decine di milioni di giovani e meno giovani, proponendo compilation estremamente pertinenti e aderenti ai profili di ogni singolo utente, oggi si è spinta più in là con i suoi algoritmi.

L'oggetto della ricerca per la profilazione di ogni soggetto non è più solo il gusto, la sensibilità, la personalità del destinatario della compilation musicale. Siamo oltre, siamo alla ricostruzione dell'evoluzione di tutti questi fattori messi assieme ,che potremmo definire sinteticamente l'anima dell'ascoltatore, in modo da poter calcolare quelli che saranno i suoi gusti e dunque le sue scelte in un futuro più o meno prossimo.

L'algoritmo di Spotify già in azione precede di vari passi la nostra crescita e maturazione, predisponendo l'itinerario per farci giungere puntuali al punto di incontro con l'identikit della nostra futura personalità così come l'ha previsto Spotify.

Su quella base, cioè sulla proiezione di milioni e milioni di profili evolutivi dei suoi clienti Spotify è in condizione ora di programmare la produzione di quelle musiche, di quei ritmi, di quelle sensazioni che essa stessa ha previsto essere l'elemento innovativo che modificherà il nostro piacere all'ascolto.

Immaginiamo ora per un momento che al posto di Spotify non ci sia un operatore musicale, non ci sia un service provider che ha come obiettivo quello di farsi scegliere come disk jockey del pianeta, ma ci sia, ad esempio, un partito, un progetto politico, ancora più semplicemente, un candidato alla presidenza degli Stati Uniti: cosa potrebbe avvenire?

forse che un eccentrico miliardario seducente ma screditato potrebbe entrare alla Casa Bianca? O forse qualche intraprendente fiancheggiatore potrebbe istruire, sulla base dei profili ervolutivi raccoltyi, bots intelligenti per organizzare una distribuzione di titoli e azioni porta a porta a livello planetario. E, ancora, immaginiamo che lo stesso algoritmo, magari gestito dal proprietario del principale social network del pianeta, possa esibirsi su una base elettorale di 2 miliardi e mezzo di utenti, come fra 4 anni saranno i frequentatori di Facebook?

I dati che stanno affiorando, dopo l’ubriacatura sull’orgia delle fake news, ci dicono infatti che le elezioni americane se sono state alterate- e comunque sicuramente sono state stressate dalla pressione in rete delle squadre che lavoravano per Trump, negli Usa e fuori dal paese- lo sono state da un attivismo frenetico di agenti intelligenti, di bots.

Si calcola che circa 150 cervelli artificiali abbiano pompato in rete 78 milioni di messaggi circolari, tali da precostituire grafi ad imbuto, come nel libro Link di Barabàsi gia citato, si spiega, ciò è fenomeni reticolari che attraggono sulla base di parole chiavi e di assetti cognitivi comunity e individui che hanno mostrato disponibilità verso quei contenuti. In sostanza Trump ha dato ad ognuno delle tribù sociali che aveva selezionato quello che si voleva far dire da un candidato.

Dal Minnesota alla Macedonia, vere botteghe digitali hanno lavorato a catena per produrre questo bombardamento sulla base di un analitico data base che il miliardario si era comprato due anni fa.

La domanda a questo punto è: vi pare plausibile che potenze tecnologiche, basate su soluzioni e procedimenti che agiscono in maniera del tutto imprevedibile per la platea a cui si rivolgono possano alterare e modificare la meccanica di relazione in una elezione? E soprattutto se chi ha utilizzato queste potenze trionfalmente può pensare di restituire il bastone di comando ai tecnici e limitarsi a godere della sua momentanea vittoria? E cosa potrebbe accadere alle prossime elezioni in Francia o in Germania? O ancora fra 4 anni negli Usa, magari in uno scontro all’ultimo Bit fra Trump e Zuckerberg?

Altro che conflitto d’interesse. Siamo alla riproduzione in laboratorio della merce sociale più pregiata del pianeta: il consenso .

Questo è oggi il vero tema: la riservatezza e la separatezza delle attività algoritmiche che attraversano la nostra vita . nessun potere prescrittivo e predittivo che incombe su di noi, pensiamo alla scienza sanitaria o alle tecniche formative, oggi sono in dotazione ad un numero così ristretto di individui ed operano su una massa così sterminata di utenti.

In coerenza con le tradizioni politiche delle democrazie occidentali del secolo scorso, ci pare lecito chiedere che anche l'algoritmo, come il potere di formazione, di guarigione, di informazione ,siano sottoposti al vincolo della trasparenza e del controllo pubblico.

L’algoritmo è uno spazio pubblico naturale per la sua capacità di incidere sull’umanità. Esattamente per lo stesso motivo, proprio Mark Zuckerberg afferma che Facebook è ormai uno spazio pubblico.ma si dimentica di aggiungere che questo riconoscimento gli impone obblighi di trasparenza e adattamento alle leggi delle comunità in cui opera che lui non pratica.

Il pensiero computazione, a prescindere dagli statuti proprietari, non può sottrarsi dal ruolo di bene essenziale per la vita su questa terra. Esattamente come lo è l’acqua.

Un sillogismo su cui insiste da tempo un altro grande attore sullo scacchiere globale: Papa Francesco.

Nella sua lettera enciclica sulla Cura della Casa Comune Laudato Sii, il Pontefice è tornato in maniera martellante sul tema della condivisione delle potenze di calcolo che stanno assumendo, spiega, caratteri prescrittivi preoccupanti: “occorre riconoscere- scrive nel suo documento il Papa- che i prodotti della tecnica non sono neutri, perché creano una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientano le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati gruppi di potere”.

Ovviamente Papa Francesco ha l’occhio sulle acrobazie genetiche, e soprattutto il decentramento di pratiche di potenziale eugenetica che, con tecniche come il CRISPR (clustered regularly interspaced short palindromic repeats, traducibile in italiano con brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari), estende enormemente la gamma dei soggetti che sono ormai in grado di praticarle. Come diceva appunto Vender “la potenza di calcolo non serve per giocare con i social ma per riprogrammare la vita umana”

Nessun Dio come Google

Facebook per il numero dei suoi utenti, siamo a cavallo di un essere umano su tre, e Google per l’uso che gli esseri umani ne fanno_ 3 miliardi e mezzo di query ogni 24 ore- sono potenze in sé. Quantitativamente usate e interpellate più di qualsiasi divinità.

Ma sono ormai troppo

Attorno a loro si infittisce la schiera dei soggetti che si candidano a governare gli automatismi di pensieri e comportamenti umani, il sapere computazionale sta mutando, la politica ha percepito opportunità e pericoli di queste nuove asimmetrie economiche.

Il filo conduttore che ormai attraversa il grande ring del conflitto geopolitico è quello di una contrapposizione di sapore rinascimentale, fra le istituzioni statali, suffragate o meno da una legittimità democratiche, e potenze tecnologiche che tendono ormai a sostituirsi agli stati in ogni funzione strategica.

Siamo ad un gigantesco conflitto in piazza fra signorie e gilde, all’ennesima potenza.

Nel primo scorcio del nuovo secolo la partita sembrava vinta a tavolino dai protagonisti della rivoluzione digitale .

Oggi si assiste ad una ripresa, simultanea, su tutti gli scacchieri, da est a ovest, di una pressione da parte della lobby statalista, anche per un certo affievolirsi della progressione innovativa, frenata dalle rendite dei gruppi monopolisti che ormai dominano la rete, che non spingono come prima.

Proprio l’’imprevedibile vincitore delle elezioni presidenziali americane, si trova oggi a fare da testimonial alla revanche dello stato rispetto al mercato digitale.

Trump, non a caso, ha scelto di suggellare la sua incoronazione, più che con la sbrigativa ed essenziale cerimonia del 20 gennaio, con l’incontro che un mese prima aveva tenuto nel simbolo del suo potere personale, la Trump Tower di New York, con i vertici della Silicon Valley.

In quell’occasione il miliardario reazionario si è presentato come un sorprendente Keynes del software.

Proprio nei confronti del fior fiore dell’ instrumentum regni digitale del potere americano nel mondo , l’eccentrico cane sciolto che ha costretto prima i repubblicani ad appoggiarlo e poi i democratici ad arrendersi, mostra di voler rispondere alla domanda che propone oggi Limes: ma in fin dei conti chi comanda oggi ?

Io, risponde leninisticamente Trump.

Il Presidente americano,oggettivamente, sembra tradurre in inglese la scelta autocratica che le sue controparti asiatiche stanno praticando a Mosca e Pechino: nazionalizzare la potenza di calcolo. E rimettere la politica, cio è se stessi, al centro della scena strategica.

Uno scenario quello ipotizzato alle diverse latitudini ideologiche dagli autarchi digitali,dove non rimane più spazio per strategie e culture autonome da parte dei grandi conglomerati tecno-finanziari, e dove lo stato, ancora di più, il governo, torna ad essere il titolare di scelte e comportamenti delle stesse imprese.

Si configura in questo passaggio l’idea di una potenza di calcolo come sovranità nazionale. Potremmo dire, parafrasando il pensiero di Carl Schmitt: un algoritmo-nazione, in cui l’agente della globalizzazione, come siamo stati portati a pensare, ovvero il sapere digitale che promuove relazioni molecolari, sbriciolando barriere e confini, viene subordinato agli interessi e alle volontà della sovranità nazionale.

Un’idea che già da qualche tempo serpeggiava nei forum di rete dove si cercavano sponde per contenere lo strapotere dei cosi detti Digital Giants, i grandi monopolisti del web.

Paradossalmente , ed è questa la singolarità del trumpismo che spiazza anche a sinistra, la svolta nazionalista affiora proprio dalle viscere del paese che sta dominando il mercato digitale, come gli USA.

Il campione del mercato aperto, prende atto che l’accelerazione “nazionalista” dei suoi contendenti asiatici lo spinge ad acquartierarsi in un sistema dove è proprio lo stato a menare le danze.

Come scrive il sociologo coreano naturalizzato tedesco Byung-Chul Han nel suo saggio Nello Sciame, “ l'informazione senza contesto genera solo processo commerciale ma non consapevolezza sociale”.

Il contesto è la politica, la voglia di ripristinare una gerarchia storica fra i poteri. Di questa missione si è impossessato Trump ,che nel corso della campagna elettorale ha saputo leggere i Big Data meglio di chi li aveva inventati, perché aveva appunto un contesto ,una tesi, una strategia, un valore da verificare, ed ha potuto cogliere il meme delle identità digitali, ossia quel nucleo di bit che sintetizza l'essenza delle informazioni trasportate nella rete.

Così Trump ha sperimentato la superiorità di una politica che guarda più lontano dei saperi , riuscendo a dare un senso reale a quel profluvio di dati che la campagna elettorale generava. Mentre i suoi avversari, dove si annoveravano i più bei nome del Big data ne sono rimasti confusi e sorpresi.

Ora il neo presidente sembra voler dare un’anima non solo elettoralista al suo fronte, tracciando confini e dettando regole per un mondo che invece nasce senza gli uni e senza le altre.

Una insidia mortale, che ha subito colto il più esposto su entrambi i fronti, i confini e le regole: Mark Zuckerberg, il fondatore di fFcebook. E’ lui l’unico dei grandi personaggi della Silicon Valley a non aver risposto all’appuntamento alla Trump Tower.

Subito dopo l’insediamento di Trump, Zuckerberg ha cominciato a girare come una trottola per gli States: la voce è che prepari una sua candidatura fra 4 anni.

Sarebbe un’ulteriore escalation della guerra fra poteri: per la prima volta chi ha strumenti diretti per controllare identità e profili dei suoi elettori, come appunto il data base di Facebook, si troverebbe ad usare direttamente questi dati per il proprio interesse.

Persino Trump impallidirebbe. Ma anche Putin e Xi Ji Ping non si sentirebbero al sicuro.

La tartaruga ha raggiunto Achille.

Dopo un lungo inseguimento gli stati sono sulla scia degli Over the Top. Bussano alla porta dei saperi e delle infrastrutture, reclamano controllo e appartenenza.

E nella tradizionali dinamiche della rete irrompono ragioni e misure che non rispondono più ai rassicuranti volti lentigginosi degli ex studenti di Harvard o Stanford. Si sta ridisegnando la mappa delle relazioni internazionali.

L’algoritmo che si era fatto nazione in se, torna parte costitutiva dello stato nazionale, diventa algoritmo-nazione.

La stessa guerra digitale fra americani e russi, meglio fra Putin e la Clinton, è stata una grande acceleratore di una ri statalizzazione dell’algoritmo.

In soli 3 anni, dalle esibizioni in Ucraina e Bielorussa di squadre di social agitatori, palesemente di matrice atlantica, che innestarono sollevazioni di piazza al confine con la Russia,Mosca è ritornata in campo, riequilibrando innanzitutto lo scacchiere della rete, e ribaltando la capacità di mettere sotto scacco l’avversario, come Hillary Clinton può amaramente testimoniare.

La squadra del presidente Russo Putin ha lavorato molto sul versante tecnologico, sia componendo e scomponendo i vecchi kombinat di origine sovietica, passati poi, avventurosamente nelle mani di ex funzionari , prevalentemente del KGB, e poi, con pressioni e persuasioni di ogni tipo, arrivati ad essere tutti controllati da uomini fedelissimi del Kremlino .

Non basta lavorare sui livelli di comando degli apparati, dall’esercito alla macchina delle intelligenze statali.

Internet è sempre il risultato di relazioni sociali prima che di gerarchie industriali. Come i cinesi hanno dovuto comporre l’individualismo di massa di quel popolo con una strategia premiante per ognuno, così i russi hanno dovuto lavorare in profondità sulle culture tipiche del mondo slavo, dove la revanche contro l’occidente, si sposa a visioni catacombali, complottiste, apocalittiche.

Le università sono state setacciate, e soprattutto si è selezionato una schiera di “makers” slavi, giovani e rancorosi, che attribuiscono il mancato successo rispetto ai loro omologhi della Silicon Valley ad uno strapotere americano che non ammette intrusioni.

Il tema dunque da Washignton a Mosca fino a Pechino è oggi quello dell’algoritmo –nazione.

Proprio questo apparentemente oscuro dualismo fra algoritmi che prevalevano sugli interessi nazionali ,e invece una potenza di calcolo che tende sempre più a farsi arruolare nelle schiere della nazioni, permette oggi di decifrare meglio la scena geopolitica globale, dando ragione di fenomeni e processi che ,altrimenti, appaiono inspiegabilmente disancorati dalle tradizionali matrici ideologiche che avevano guidato la storia fino ad oggi. Qui è possibile trovare una risposta alla domanda: chi sono i padroni del mondo?

Papa Francesco non sembra avere dubbi, a comandare il mondo è “ il modo in cui di fatto l’umanità ha assunto la tecnologia e il suo sviluppo insieme ad un paradigma omogeneo e unidimensionale”(Laudato Sii, edizioni EDB)

Fino ad un paio di anni fa questo paradigma sarebbe stato facilmente individuabile nella visione trionfale degli Over The Top.

Oggi il quadro appare più contrastato e conflittuale.

Lo show down fra i due schieramenti computazionali, quello transnazionale e quello dell’algoritmo-nazione, ha una data simbolica.

Il 23 maggio del 2016 il vertice di Facebook invia una lettera alla commissione del commercio del Senato americano (https://www.commerce.senate.gov/public/_cache/files/93a14e98-2443-4d27-bf04-1fc59b8cf2b4/22796A1389F52BE16D225F9A03FB53F8.facebook-letter.pdf )

che aveva chiesto ragione di denunce contro quello che veniva definito “l’algoritmo anti-conservatore”, ossia un dispositivo editoriale automatico adottato dal social network che avrebbe discriminato ,nel flusso dei contenuti,argomento ed autori che suonavano come particolarmente conservatori.

Nel testo della lettera, per spiegare l’indiscutibile intromissione nel flusso dei contenuti, si adducono giustificazioni che sembrano francamente deboli, e comunque si ammette che forse “qualche tecnico potrebbe aver superato i limiti del suo mandato”.

Rilevante è il passaggio in cui direttamente Mark Zuckerberg afferma che “ stiamo lavorando insieme per superare il gap che separa quanto oggi un algoritmo possa fare da quanto dovrà fare in futuro”.

Un’affermazione questa del gruppo di Cupertino che impone alcuni chiarimenti. Due fra tutti:

  1. Cosa dovranno fare gli algoritmi nell’immediato futuro per colmare l’attuale gap che rende ancora insufficiente e limitata la loro forza ?
  2. A Cosa e a chi prelude quel termine- “insieme” -evocato dal fondatore di Facebook a giustificazione dei propri sforzi?

Le possibili risposte a queste domande aprono una fase del tutto nuova nella storia della rete, modificando ruolo e funzione della potenza di calcolo.

Un cambio di ruolo, o forse solo il riconoscimento di un’azione che la rete ha sempre avuto, e che i suoi principali protagonisti oggi non riescono più a nascondere.

Come ha scritto su Le Figarò ,Nicolas Bavarez, uno dei più attenti analisti della geo politica digitale, nel gennaio scorso >[la rete] se fino ad ora è stata dirompente sul piano economico, è diventata ormai politica e strategica: con l’ondata di populismi indotti dalla stabilizzazione dei ceti medi e dalle reti sociali, e col rivolgimento, ai danni della democrazie, della dottrina dei cambiamenti di regime-il cyber-intervento della Russia nella campagna presidenziale americana”.

La minaccia di un soverchiante potere che possa mettere sotto scacco la politica ha forse indotto una reazione delle istituzioni?

Una breve consultazione del listino di borsa del Nasdaq , il mercato dei titoli tecnologici della borsa di New York,ci fornisce i dati dettagliati, che ,per quanto mutino giorno per giorno, ci dicono che il comparto dell’innovazione digitale oggi capitalizza la fantastica cifra di circa 4 mila miliardi di dollari, il 35% dell’intero PIL del pianeta ( vedi tabelle allegate).La loro disponibilità di cash, di capitali freschi da usare come e dove vogliono è arrivata in questi ultimi mesi a quasi 2 mila miliardi di dollari, una massa monetaria che equivale al PIL di 80 paesi , e che gli permette di comprare qualsiasi cosa, a partire dal consenso delle istituzioni.E’ qualcosa di più di una pistola puntata alla testa dei grandi capi del mondo.

Il motore di questa accumulazione è la musica di Leibniz, in cui “ l’anima non sa di calcolare”.

La nostra vita è ormai musica, e le nostre anime vivono senza sapere che stanno calcolando. Ma gli Over The top lo sanno bene, visto che sono loro che concentrando il 92% del mercato globale delle relazioni in rete ci forniscono i linguaggi e le modalità per calcolare, dunque per vivere.pensiamo solo che Google risponde quotidianamente ad almeno 3,5 miliardi di query. Potremmo dire che nessuna divinità viene interpellata più di Google.

Un cerchio, per dirla con il fortunato best seller di Dave Eggers che descrive un paese molto simile agli attuali USA, nella morsa di un social network totalizzante.

Un cerchio che al momento rappresenta ancora un simbolo di libertà e di liberazione.

Questa è stata, fino ad oggi, la forza degli Over The Top: costruire il loro monopolio liberando milioni di persone. Come diceva Victor Hugo” nulla ha la forza di un’idea di cui è venuto il tempo.”

Questo è il tempo della rete, come dimostra inesorabilmente la sua pervasività globale ,che abbraccia l’intero pianeta e presenta indici di coinvolgimento ineditamente analoghi in ogni scacchiere o emisfero.E la rete oggi si identifica con i suoi principali brand.

E’ infatti innegabile che la progressiva espansione del monopolio di Facebook o Google sia stato percepito come un fattore di autonomia e indipendenza da gran parte dell’umanità. E così è stato. Tanto da mutare radicalmente la mappa geopolitica del pianeta, indebolendo tutti i poteri verticali tradizionali: istituzionali, nazionali, economici,militari religiosi.

Nessun gigante è rimasto tale, se non i nuovi giants digitali.

Potremmo dire che è l’idea stessa di potere ad essere impallidita, come scrive Moisès Naìm, per 10 anni direttore di Foreign Policy , nel suo saggio “La Fine del Potere”(Mondadori Editore) in cui documenta chiaramente la molecolare fragilità dei poteri tradizionali, e ci descrive il protagonismo di nuovi “micropoteri” che ,agendo nei circuiti vitali degli apparati, creano una situazione dove “ l’indipendenza del potere dalle dimensioni,e con essa l’indipendenza dell’efficacia del potere dal controllo di una grande burocrazia weberiana, sta cambiando il mondo”.

Un processo nuovo e progressivo ,che aveva fatto osservare nel 2012, all’ex segretario generale della NATO, lo spagnolo Javier Solana “Negli ultimi 25 anni- un periodo segnato dalla guerra nei Balcani e in Iraq, dai negoziati con l’IRA, dal conflitto israelo/palestinese, e da infinite altre crisi- ho visto un gran numero di nuove forze e nuovi fattori ostacolare persino le potenze più ricche e tecnologicamente avanzate.Esse, e con questo intendo dire noi,raramente riuscivano ancora a fare quello che volevano”(cit dal libro di Moisès Naìm,La Fine del Potere, Mondadori editore, pag 75).

L’ex premier britannico David Cameron di fronte alla valanga di voti a favore della Brexit, nel referendum sull’Unione Europea, in cui tutte le elites inglesi si erano pesantemente espresse per una conferma europeista, ha parlato di un ruolo della rete come di un “impollinatore, che trasforma gemiti in movimenti”. Un’alchimia sociale mediante la quale l’algoritmo si fa esso stesso elites, dunque nazione.

I gemiti di infiniti nani diventano movimenti, dove una moltitudine di individui digitali trova linguaggio e forma per irrompere sulla scena scompaginando il palcoscenico dei giganti. La rete è stata conseguenza di questa straordinaria geometria sociale ed ha risposto ad una domanda che saliva dai gorghi più profondi della società . Una forza che si è intromessa nella politica internazionale, mutando rapporti di forza e capacità di manovra.

Questo imprinting rimane ancora impresso nel sistema.

Questo sommovimento ha cominciato a scuotere le fondamenta dei poteri verticali da almeno un ventennio .I Giganti digitali hanno cavalcato la tempesta senza poterla domare. Ora si misurano direttamente i giganti della politica globale.

Segnali erano venuti già nel 2006 negli USA, sulla base di un’analisi dell’ultima guerra in Libano condotta contro Israele dagli Hezbollah, uno dei più avvertiti e lucidi analisti delle forze armate americane, John Arguilla, diventato poi consigliere del presidente Obama, si chiedeva in un suo saggio ( Insurgents,Raiders and Bandits:How Masters of irregular warfar have shaped our World) come mai quel conflitto fosse l’unico a non essere stato vinto sul campo dalla superiorità delle forze di Tel Aviv? E rispose- siamo nel lontano 2006- constatando come “ Hezbollah accede a saperi e competenze tramite la rete.Così la potenza militare viene disintermediata dagli stati nazionali……il mondo è entrato in un’era di guerriglia irregolare perpetua…. guidata dalla forma del network che costituisce una minaccia per il potere americano. E per battere un network ci vuole un altro network”.

Sul tema ruota il dibattito politico americano. Il direttore del Brooking Institute P.W. Singer, in una ricerca svolta proprio per conto del team dell’allora debuttante candidato alle presidenziali Barak Obama, scrive: “Siamo in una situazione dove gruppi privati possono disporre di grandi saperi e poteri tecnologici prima riservati agli stati. Ed oggi non abbiamo risposte adeguate per questo tipo di nuovo conflitto”( vedi citazione da testo Obama.net a cura di Michele Mezza, Morlacchi Editore, 2009,Perugia).

Potremmo dire che la candidatura di Obama è stata la risposta del sistema americano a questo impasse: per battere un network ci vuole un altro network .E il presidente di colore prometteva di fare del suo paese un grande network di sapere e di cooperazione. La battaglia per la net-neutrality che lui indicò nel primo giorno del suo mandato, dopo il giuramento ne fu il pegno. Ma non ha funzionato .

A Taormina, al prossimo G7, a tavola si ritroveranno almeno 3 commensali ( USA, Russia e Cina) che hanno deciso di giocare in proprio la partita della rete.Estendendo la logica di una nuova Yalta geo tecnologica ai principali gruppi globali che oggi controllano la potenza di calcola, per una co gestione del nuovo eco sistema dell’informazione.

In sostanza, si sta discutendo, fra gli sherpa delle 3 superpotenza i termini di un patto che preveda una nuova regolamentazione della rete, sia nelle sue capacità di interferenza con le governance degli stati, sia nella stabilizzazione dello strapotere degli attuali gruppi monopolistici.

Google, Facebook, Microsoft,IBM,Samsung, ma anche la cinese Hawei e la russa mail.Ru saranno i plenipotenziari del mondo digitale, al quale verrà fatta un’offerta che non potrà rifiutare.

L’oggetto della contesa è riassunto dalla citazione di Nicolas Carr con cui abbiamo aperto questo testo ( in una società automatizzata il potere lo ha chi pianifica gli automatismi).

Chi decvide gli automatismi?

Ddopo il dominio dei proprietari degli algoritmi , sembra oggi crescere l’autorità degli apparati statali che rivendicano il controllo sulla potenza predittiva degli ALGORITMI.

Oscillante fra i due sistemi che si incontreranno a Taormina, il cosidetto popolo della rete che sta maturando una domanda di socializzazione del calcolo :se come la scuola o la sanità, l’automatizzazione dei sistemi cognitivi ha la potenzialità, e dunque l’ambizione, di riprogrammare , biologicamente oltre che socialmente , la nostra vita, questo strumento non può essere di dominio esclusivo dei suoi proprietari. Nemmeno il denaro o l’acqua, come insiste proprio Papa Francesco, sono prerogative protette e giustificate dal titolo di proprietà se insorge un interesse pubblico.Non si comprende come possa esserlo allora una potenza ancora maggiore quale è quella sull’intelligenza artificiale.

Ma lo stesso potere di pianificazione biologica può essere attribuito ai vertici degli stati per la propria riproduzione.

Non solo l’algoritmo dovrà rientrare nei beni negoziabili sulla base del pubblico interesse, ma la stessa progettazione della potenza di calcolo non potrà rimanere attività occulta e separata dagli interessi sociali.

Sul tavolo del prossimo G7, con più lucidità di quanto il movimento che nacque a Seattle ha potuto avere, e sicuramente con una consapevolezza più diffusa e professionalmente rappresentata, le comunity della rete devono poter disporre le loro ragioni.

Città, università, centri di ricerca, e un’infinita concatenazione di imprese innovative, possono oggi prosperare solo in una logica di trasparenza dei saperi e di permanente negoziato delle soluzioni.

Parafrasando Wheeler potremmo dire: every bit for every person

Uno dei grandi padri del pensiero computazionale, Alan Turing, ci ricordava che l’innovazione la troviamo sempre e solo lungo quell’incerta via che separa l’iniziativa dalla disubbidienza.

Sarà bene che lo ricordino tutti: chi ieri dominava la rete con gli algoritmi proprietari, e chi oggi in nome di un primato della politica, pensa di poter facilmente rimettere il dentifricio nel suo tubetto.





Forum di riferimento:

  • Digidig.it. comunity di discussione e animazione del dibattito sulla trasparenza e la pubblicità dell’algoritmo
  • PollicinAcademy.it, centro di ricerca su gli alfabeti della mobilità

Testi chiave:

  • la matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini.Paolo Zellini, Adelphi
  • L’Informazione, James Gleick, Universale Economica Feltrinelli
  • L’Algoritmo definitivo, Pedro Domingos,Bollati Boringhieri
  • Link, Albert-Làsszlò Barabàsi,Enaudi
  • La Gabbia di vetro, Nicholas Carr,Cortina Editore